Ma il progetto non si ferma
Al posto del calcio, il Club Mundial e l'Album 2020
Luigi Benedetto
C'è il calcio che parte, quello dei professionisti, e c'è il calcio che non può partire: quello del “Balon Mundial”, la coppa del mondo delle comunità migranti. Il torneo che, dal 2007, riunisce in un campo da calcio per correre dietro a un pallone giocatori provenienti da ogni angolo del mondo (e dal 2011 riunisce anche le giocatrici).
Come detto, in questo 2020 il torneo dovrà cedere il passo: un po' per l'assenza di un protocollo che indichi come poter riprendere a giocare in sicurezza, un po' perché, non trattandosi di giocatori professionisti, tutti hanno bisogno di un minimo di allenamento, di levarsi di dosso ruggini e affaticamenti, specialmente se le partite dovessero svolgersi nel clima tutt'altro che mite di luglio.
E poi per un terzo motivo, quello più importante. “Balon Mundial” non è solo calcio. È conoscersi, stare insieme, parlarsi, confrontarsi, conoscersi, abbracciarsi. Condividere. Cose incompatibili con mascherine e distanze di sicurezza.
E allora, per una volta, si mette da parte il calcio, e si punta sul senso più profondo dell'iniziativa: combattere razzismo e discriminazioni attraverso l'incontro tra culture diverse. Come? Prima di tutto con il “Club Mundial”, una piazza virtuale sulla quale i giocatori e le giocatrici delle precedenti edizioni possono incontrarsi di nuovo o conoscersi per la prima volta, discutere e confrontarsi, nell'attesa che il calcio possa di nuovo essere quel passatempo che tutti possono praticare e non solo, come sta avvenendo in questi giorni, le società abbastanza ricche da permettersi le misure di prevenzione.
E poi l'Album 2020 dove, al posto delle classiche figurine, ci sono le storie. Storie di giocatori di questo torneo, di dirigenti, di volontari, di uomini e donne dello staff, raccolte nell'album che sarà pubblicato in autunno. Perché non c'è virus al mondo, se non quello dell'ignoranza, in grado di ingabbiare cultura e fratellanza.