L'addio a Diego Armando Maradona
Vittorie, cadute e risalite del campione, le fragilità dell'uomo
Luigi Benedetto
Ieri sera era impossibile trovare un canale televisivo che non parlasse di Maradona. La vittoria del mondiale del 1986. Maradona al mondiale del 1990 che manda a stendere i tifosi italiani che fischino l’inno nazionale argentino. Maradona che, appena arrivato a Napoli, si presenta ai suoi nuovi tifosi palleggiando nel San Paolo pieno in ogni ordine di posti. Maradona che festeggia negli spogliatoi dopo la vittoria della scudetto. Maradona che segna all’Inghilterra uno dei gol più belli della storia dei Mondiali. Maradona che segna all’Inghilterra uno dei gol più disonesti della storia dei mondiali.
Ma ci sono tre immagini, che coprono un arco di pochi giorni e riassumono perfettamente la carriera, e la vita, di Diego Armando Maradona.
Il primo momento è del 21 giugno 1994. Mondiali negli Stati Uniti. Si gioca Argentina - Grecia. Al 15° del secondo tempo Maradona segna il terzo dei quattro gol, a zero, con cui si chiude l’incontro. Arriva davanti alla telecamere e urla tutta la sua rabbia. Perché quello non è un gol come tanti. Quel gol arriva dopo una una lunga squalifica per cocaina. Arriva dopo un anno di stop dall’attività agonistica. Arriva dopo che Maradona si è allenato da solo per mesi, perdendo peso, rimettendosi in forma. È un gol che segna la sua rinascita.
Il secondo momento è del 25 giugno. Mancano pochi minuti alle 18, ora italiana. L’Argentina ha appena battuto la Nigeria per 2 a 1. Maradona, sorridente, prende per mano l’infermiera che lo accompagna all’antidoping.
Il terzo momento è del 3 luglio 1994. Poco dopo le 14.15, ora italiana. L’Argentina, sconfitta per 3 a 2 dalla Romania, esce dal Mondiale. Maradona, squalificato per doping in seguito al controllo di pochi giorni prima, guarda la partita dalla tribuna. Al fischio finale alza le mani al cielo, disperato. Lo consola la moglie Claudia, seduta accanto a lui.
Ecco, in quelle due settimane scarse si condensa la storia di Maradona. Un giocatore dotato di una classe indiscussa e infinita, cui, come diceva, il calcio correva nelle vene. Capace di magie in campo, capace di risorgere dopo difficoltà, infortuni, squalifiche. Capace di caricarsi una squadra sulle spalle e portarle alla vittoria. Capace, per il calcio, di superare ogni ostacolo. Un uomo capace di sorridere, di scherzare, di divertirsi ma nello stesso un uomo debole (anche se la vicenda della squalifica americana ha sempre lasciato ampie zone mai completamente chiarite), vittima della sua fama e della sua popolarità, che ha finito con lo schiacciarlo.
Il resto è il tentativo di ritornare sulla cresta dell’onda come allenatore, con risultati mai all’altezza delle aspettative. Il resto è la lontananza da quel calcio che era stata la sua vita. Una vita che è finita ieri, pochi giorno dopo il suo sessantesimo compleanno.