Stefano Calì viveva facendo sorridere
In un video annunciava di avere il Covid e ironizzava «pensate voi se mi prendevo l’originale»
fe.cla.
Mi capitava spesso di incontrarlo vicino all’università, tra via Sant’ Ottavio e via Verdi.
Oggi, solo riconoscendolo nelle foto sui giornali che annunciano la sua dipartita, scopro che si chiamava Stefano Calì. Sì, perché spesso non si presentava, ma semplicemente si avvicinava e faceva una battuta, oppure cominciava a raccontare barzellette. A volte si sedeva sul muretto attiguo alle scale di Palazzo Nuovo, accanto a chi in quel momento era in pausa dalle lezioni, e raccontava. Nei primi tempi, non sapendo chi fosse e perché si approcciasse agli altri in modo così particolare, ammetto che ero diffidente. Poi mi sono abituata ai suoi modi, a incontrarlo spesso lì, che camminava con la sua andatura quasi ondeggiante, spesso con un cartello che diceva: Vendesi barzellette.
Solo oggi, venendo a sapere che non c’è più, scopro tutto di lui: ha vissuto in strada per anni, cercando di tirare avanti facendo tanti lavori, è uscito dal tunnel della tossicodipendenza, senza mai smettere di far sorridere non solo i torinesi, ma tutto il Nord Italia. Aveva 52 anni ed è morto ieri all'ospedale Mauriziano, a causa del Covid.
Aveva avvertito di essersi ammalato in un video, registrato forse da una studentessa, in cui diceva: «il virus non mi ha fermato» e prometteva nuove barzellette. Poi addirittura ironizzava di essersi preso il virus cinese e «pensate voi se mi prendevo l’originale».
Ecco che cosa aveva raccontato di sé a La Repubblica:
«Ho vissuto con mia madre per gran parte della mia vita. Sempre in strada, dall'età di dieci anni. A sedici ho incominciato a ballare la breakdance, che in quegli anni andava molto di moda, e con i miei amici ci incontravamo in Piazza Castello davanti al Teatro Regio per esibirci, ero giovane e sentivo l'arte dentro. Io ero uno di quelli che la domenica mattina si alzava e andava, con la tuta fatta da mia madre, nella pista da pattinaggio con le gomitiere e la radio in spalla a sfidare i miei amici, l'ho fatto per cinque o sei anni».
Sono tanti i messaggi che lo ricordano, arrivano soprattutto da studenti e studentesse, che adesso non avranno più le sue barzellette. Qualcuno dice che si dovrebbero raccogliere tutte insieme e diffonderle ancora e ancora.
Anche la sindaca Chiara Appendino lo ha ricordato:
«Sei stato un simbolo importante per questa Città. Hai fatto ridere e sorridere tante persone, che ti porteranno per sempre nel loro cuore. Grazie di tutto, fa’ buon viaggio».